Intervista a Viviana Viviani autrice bolognese

Il romanzo d’esordio di Viviana Viviani

Il canto dell’anatroccolo, edito da Corbo Editore di Ferrara, ha avuto un ottimo riscontro dai lettori, numerose recensioni positive su importanti blog (Sul Romanzo, Satisfiction, Pelagosletteratura) e ha vinto alcuni premi, minori ma seri, quali il Premio Zafran di Zafferana Etnea e il premio speciale Filippo da Lavagna di Paullo, a riprova che anche un esordiente con alle spalle una piccola casa editrice può raggiungere numerose soddisfazioni.

La prima domanda è d’obbligo: di che genere è il tuo romanzo? E come è nato?

Il canto dell’anatroccolo Viviana Viviani

Il canto dell’anatroccolo non appartiene a un genere preciso, se non a quello della favola. Racconta le vicende dei due personaggi principali, Arianna e Rosa, come se fossero due fiabe intrecciate, una specchio e complemento dell’altra. Entrambe incontrano tutti gli elementi prxoppiani della favola: antagonisti, aiutanti, oggetti magici, ostacoli da risolvere, sempre sul filo tra la psicologia e il realismo magico. Arianna inventa amici immaginari per sfuggire alla banalità dell’esistenza e all’eccessivo controllo e conformismo dei genitori. Rosa al contrario, che dopo aver lasciato morire d’infarto il padre-padrone  diventa allergica alla pelle degli uomini, lotta per ritrovare la propria normalità.  In entrambe le storie realtà e fantasia si sovrappongono: Arianna ritroverà, nel corso della sua vita, segnali della presenza dei suoi Oprini, come fossero angeli custodi, e Rosa si chiederà a lungo se la propria malattia dipenda dal senso di colpa per il mancato soccorso al padre morente o da una maledizione che lui le infligge dall’aldilà.

A fianco di Arianna e Rosa  si muovono due personaggi maschili, Andrea e Alvise. Puoi dirci qualcosa anche di loro?

Andrea rappresenta l’anima razionale del romanzo. E’ un ragazzino, e poi un uomo, di grandi capacità deduttive e attento osservatore della realtà, tanto da essere l’unico a comprendere le dinamiche di un omicidio, però vive anche grandi insicurezza e paura di quel mondo che pur comprende così bene, tanto da mantenere troppo a lungo il segreto su ciò che ha intuito. Alvise invece, che è il cattivo della storia, si sente un uomo straordinario dostoevskijano senza esserlo, in lui c’è il rapporto tra arte e vita, il desiderio di una fama che renda immortali a costo di sacrificare l’esistenza propria e altrui.

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Nella vita di tutti i giorni sei un ingegnere, come si concilia questo con la scrittura?

Ho sempre amato la letteratura, ma sono felice di avere le basi della cultura scientifica, trovo che faccia bene anche alla scrittura: aiuta a costruire il testo in modo razionale, a fare in modo che ogni parola sia “necessaria e sufficiente”. Non capisco chi mette in antitesi la fantasia e la razionalità, io le amo entrambe in egual misura ed entrambe ho cercato di mettere nel mio libro.

Hai già in mente qualche nuova opera?

A Bologna piace giallo

Sto scrivendo il mio secondo romanzo e nel frattempo sono in uscita miei racconti su varie antologie. Uno è già uscito, si tratta del racconto “La Dottoressa e il Professore”, edito da Damster all’interno dell’antologia “A Bologna piace giallo”, in cui vari scrittori bolognesi di gialli e noir raccontano nelle loro storie tante sfaccettature della nostra città, oltre che dell’animo umano. Il mio racconto è un po’ gotico, tanto che è in parte ambientato in un ristorante che serve in tavola soltanto cibi di colore rosso. A questo dettaglio ci siamo ispirati anche per una presentazione sui generis,  alla Pizzeria Da Vito a San Luca, in marzo, naturalmente di Venerdì 13! Poi uscirà entro quest’anno in un’altra antologia una mia versione moderna de Il brutto anatroccolo, per un importante progetto benefico. Non ha nulla a che fare con il romanzo, ma evidentemente questa favola è nel mio destino.

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