Accertamento della paternità, sottoporsi all’esame del dna
Il convenuto soccombente, in un giudizio promosso per l’accertamento naturale della paternità, impugnava con ricorso, innanzi la Corte di Cassazione, la sentenza della Corte d’Appello di Torino lamentando, fra gli altri motivi, l’ingiusta rilevanza data al rifiuto da parte dello stesso di sottoporsi al test del dna.
La Suprema Corte ritiene infondato tale motivo di impugnazione evidenziando come sia ormai consolidato il principio secondo il quale il rifiuto di sottoporsi all’esame del dna in un giudizio di accertamento della paternità, rappresenti un comportamento valutabile dall’organo giudicante ai sensi dell’art. 116 2 comma cpc di alto valore indiziario cosicché lo stesso possa essere da solo sufficiente a provare la fondatezza della domanda. A sostegno di quanto affermato, la Corte richiama altre sentenze della Cassazione ovvero la n. 6025 del 2015.
Inoltre la Corte specifica che la valutazione del Giudice sul carattere ingiustificato del rifiuto integra un apprezzamento che non è censurabile in sede di legittimità.
Sebbene la consulenza tecnica sia uno strumento di ausilio volto a permettere al Giudice una conoscenza più approfondita di fatti già dimostrati dalle parti in causa, vi sono dei casi in cui al consulente viene affidato l’incarico di accertare l’esistenza dei fatti stessi ( c.d. consulenza percipiente): ciò accade quando, a seguito della deduzione di una parte di un fatto posto a fondamento del proprio diritto, l’organo giudicante ritenga che siano fondamentali particolari competenze tecniche.
Significativa sul punto è la sentenza n. 15157 del 11 settembre 2012 Cassa. Civile: “Anche se , in linea generale, la consulenza tecnica d’ufficio non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal relativo onere probatorio , quando non vi sia altro mezzo per giungere all’accertamento richiesto che quello di demandarlo a chi sia dotato di speciali competenze tecniche, il giudice può incaricare il consulente non solo di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulenza deducente), ma anche di accertare i fatti stessi (consulenza percipiente). In tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.”
In questo senso, ed anche alla luce degli enormi sviluppi avuti in campo scientifico e biologico, va analizzata l’importanza della consulenza tecnica ematica all’interno di un procedimento volto all’accertamento della paternità: le indagini sul dna sono pertanto un mezzo ordinario di prova, considerato come il più adatto dalla giurisprudenza di legittimità in ambito di accertamento della paternità, che non soggiace alle restrizioni previste in materia di consulenza tecnica.